Il futuro della politica di coesione: tra centralizzazione, performance e capacità territoriale
Il convegno sul futuro della politica di coesione ha riunito funzionari della Commissione europea, ricercatori e rappresentanti regionali in un momento cruciale: la presentazione, lo scorso luglio, della proposta di nuovo Quadro Finanziario Pluriennale (2028-2034) e il conseguente dibattito che ne sta scaturendo.
La riflessione è stata dominata da una doppia tensione: da un lato, la spinta verso semplificazione e centralizzazione; dall’altro, la necessità di rafforzare la capacità amministrativa e la governance multilivello per mantenere viva la promessa originaria della coesione — “che nessuno resti indietro”.
Si è svolto a Roma lo scorso 31 ottobre il convegno promosso dal CNR ISSIRFA nell’ambito del progetto Cohesion Shapes the Future, coordinato da Il Sole 24 Ore, finanziato dalla Commissione europea. Il progetto vede la partecipazione come partner anche di Monithon Europe per lo sviluppo di scuole di monitoraggio civico dei progetti finanziati dai fondi per la coesione territoriale nelle università di Siena e Roma La Sapienza.
Qui il nostro racconto di alcuni dei passaggi, tra i tanti, più interessanti dell’evento.
Un crocevia decisivo per la coesione europea
Il convegno sul futuro della politica di coesione ha riunito funzionari della Commissione europea, ricercatori e rappresentanti regionali in un momento cruciale: la presentazione, lo scorso luglio, della proposta di nuovo Quadro Finanziario Pluriennale (2028-2034).
La riflessione è stata dominata da una doppia tensione: da un lato, la spinta verso semplificazione e centralizzazione; dall’altro, la necessità di rafforzare la capacità amministrativa e la governance multilivello per mantenere viva la promessa originaria della coesione — “che nessuno resti indietro”.
L’introduzione di Filippetti: la coesione come pilastro politico dell’Unione
Nel suo intervento introduttivo, Andrea Filippetti (CNR-ISSIRFA) ha ricostruito l’evoluzione della politica di coesione come architrave politica e identitaria dell’Unione europea.
Ha ricordato come negli Stati Uniti siano serviti trent’anni per arrivare a una moneta unica e oltre cinquanta per un vero governo federale, mentre in Europa il percorso resta incompiuto: il bilancio dell’UE è pari appena all’1% del PIL europeo, contro il 23% della spesa federale americana.
Filippetti ha mostrato come la coesione abbia contribuito in modo decisivo alla convergenza economica: oggi solo il 5,4% della popolazione europea vive in regioni classificate come “meno sviluppate”, contro il 24% di vent’anni fa.
Nei Paesi dell’Europa orientale — dove oltre metà degli investimenti pubblici proviene dai fondi di coesione — il PIL è quasi raddoppiato.
Eppure, ha avvertito, le disuguaglianze territoriali non scompaiono: i territori “che non contano”, esclusi dai processi di crescita e rappresentanza, finiscono per esprimere la loro “voice” con la protesta o con l’“exit”, come dimostrato dalla Brexit.
L’attuale contesto — segnato da spese militari, transizione ecologica e crisi multiple — chiede flessibilità, coesione sociale e crescita inclusiva, ma senza un incremento proporzionale delle risorse disponibili.
“Arricchiamo l’agenda – ha osservato – ma con gli stessi soldi”.
De Michelis: tra costi reali e performance
Il passaggio più atteso è stato quello di Nicola De Michelis, Direttore alla DG REGIO della Commissione europea, che ha illustrato la logica della nuova proposta regolamentare.
Nella nuova proposta della Commissione, la politica di coesione compie un passaggio significativo: si abbandona il tradizionale modello di erogazione “a costi reali”, in cui i rimborsi avvenivano solo dopo la realizzazione effettiva delle attività, per adottare un approccio “basato sulla performance”.
Un cambiamento che, nelle intenzioni, punta a rafforzare l’attenzione ai risultati e all’efficacia della spesa, ma che — ha avvertito De Michelis — richiede grande cautela nel modo in cui viene disegnato e applicato.
Il rischio è quello di una tensione tra tre dimensioni fondamentali: i costi reali, la performance e i pagamenti.
In assenza di un equilibrio solido, la valutazione potrebbe ridursi a un semplice “appiattimento sugli output” — il numero di bandi pubblicati o di contratti firmati — senza interrogarsi su ciò che conta davvero: l’impatto concreto per cittadini e imprese.
Il precedente sistema, basato sui costi reali, garantiva invece un principio di fondo: si pagava solo ciò che era stato effettivamente realizzato.
Pur riconoscendo l’importanza di un presidio centrale più forte, De Michelis ha difeso il ruolo dei territori:
“Le politiche industriali in Lombardia non sono le stesse della Basilicata. Serve una cornice comune, ma anche margini di adattamento locale”.
La sfida, ha concluso, è quella di “mantenere il fiato sul collo delle amministrazioni” — garantendo rigore e monitoraggio — ma lasciando ai territori la capacità di agire.
Per farlo, serve un‘amministrazione centrale con risorse e competenze adeguate a governare un sistema sempre più complesso.
D’Amato e la flessibilità del bilancio europeo
Gaetano D’Amato (DG BUDG, Commissione europea) ha posto la questione del bilancio nel contesto del nuovo Rapporto Draghi e delle grandi priorità europee: digitalizzazione, difesa e spazio, salute e biotecnologie, decarbonizzazione.
Questi ambiti richiedono flessibilità e un riequilibrio tra competitività e coesione, come evidenziato nella sua slide “Interplay between Competitiveness & Cohesion”.
D’Amato ha ricordato che il bilancio europeo è oggi eccessivamente frammentato, con oltre cinquanta programmi diversi, e troppo rigido per rispondere a un mondo in “modalità di crisi permanente”.
La nuova proposta introduce:
- un 25% non pre-programmato per rispondere a crisi impreviste,
- il triplicamento del Fondo di solidarietà europeo,
- un cuscinetto di riserva per emergenze ulteriori.
Un disegno ambizioso, ma vincolato dal rimborso dei debiti del Next Generation EU e dalla necessità di reperire nuove risorse proprie.
Conte (JRC): il ruolo dei dati per orientare le decisioni
Andrea Conte, responsabile del gruppo Territorial Economic Data, Analysis and Modelling (TEDAM) del Joint Research Centre (JRC) di Siviglia, ha presentato un contributo incentrato sulla produzione e l’uso dei dati territoriali per le decisioni strategiche.
Ha ricordato che il 16 luglio 2025 la Commissione ha pubblicato la proposta di regolamento per il nuovo QFP, e che le analisi del JRC — dal Territorial Economic Data Viewer al 9th Cohesion Report — mirano a fornire strumenti basati su evidenze per accompagnare le scelte politiche.
Conte ha evidenziato come le decisioni europee vengano spesso prese in assenza di dati tempestivi, con la statistica “che arriva dopo”.
Nuove tecniche di machine learning, text mining e intelligenza artificiale possono invece colmare queste lacune, creando indicatori in settori dove mancano statistiche tradizionali.
Ha inoltre sottolineato che la coesione territoriale non è l’unica politica con effetti locali: anche politiche di innovazione, agricoltura e competitività incidono sul benessere dei territori, influenzando il consenso e la stabilità politica.
Molica: riformare la governance, ma con prudenza
Francesco Molica (EURADA e Université Libre de Bruxelles) ha presentato dati e analisi comparate sui modelli di governance dei fondi europei.
Le sue slide — tratte da studi in corso con Santos e Conte (2024-2025) — mostrano evidenze contrastanti: non esiste una correlazione chiara tra governance centralizzata e maggiore efficienza nella spesa.
- Nei programmi nazionali, l’assorbimento dei fondi è in media più rapido,
ma i programmi regionali mostrano spesso tassi di errore inferiori. - La complessità del sistema (molti obiettivi e fondi) tende invece ad aumentare gli errori amministrativi.
Da qui la domanda chiave della sua relazione: “Riformare la governance?”
Molica ha distinto tra le ragioni per riformare — ridurre la frammentazione, rafforzare il coordinamento strategico — e quelle per non riformare — preservare l’adattabilità e l’ownership territoriale.
Guardando al futuro, ha individuato quattro sfide sistemiche:
- Ridotta capacità fiscale e competizione tra priorità politiche;
- Crescente politicizzazione e logica del “giusto ritorno”;
- Permacrisi e short-termism;
- Problemi di capacità amministrativa, ancora irrisolti in molti Stati membri.


Le regioni: tra PNRR e coesione
Il confronto con le Regioni ha messo in luce il problema più concreto della fase attuale: come tenere insieme il modello emergenziale del PNRR e la tradizione partecipativa della coesione.
Pasquale Orlando (Regione Puglia) ha riportato l’attenzione sui risultati tangibili della coesione: gran parte dei sistemi idrici e di depurazione, degli interventi ambientali e delle infrastrutture di mobilità pugliesi sono stati finanziati dai fondi UE.
Ha ricordato che il FSE+ sostiene milioni di lavoratori nella formazione continua e politiche di conciliazione vita-lavoro, con effetti concreti su occupazione e partecipazione.
Ma ha anche denunciato la scarsa visibilità pubblica della politica di coesione: “In Italia, quasi nessuno sa cosa si fa con questi fondi”.
Per Orlando, la coesione non deve diventare una politica “sostitutiva” delle politiche nazionali, ma una leva per ridurre i divari e rafforzare la competitività complessiva.
Caterina Brancaleoni (Regione Emilia-Romagna) ha descritto con precisione il rischio di “effetto spiazzamento”: i progetti PNRR hanno avuto la precedenza temporale, costringendo le amministrazioni regionali a ricalibrare le proprie strategie territoriali.
La Regione ha reagito con una logica di co-progettazione che ha coinvolto i territori attraverso strategie trasformative urbane (ATUSS) e programmi per le aree interne, con l’obiettivo di mantenere un equilibrio tra scala locale e scala regionale.
Brancaleoni ha illustrato anche il lavoro della Regione sulla base dati integrata che unisce politiche di coesione, PNRR e cooperazione territoriale europea, nonché la creazione di un Piano di valutazione unitaria e strumenti di accompagnamento come LASTI, laboratorio permanente per l’innovazione territoriale.
Il messaggio di fondo è chiaro: la capacità amministrativa resta la carta vincente per garantire continuità e impatto.
Alessandra De Renzis (Regione Toscana) ha richiamato infine la questione della lealtà istituzionale (loyalty) e della partecipazione come risposta alla crisi di rappresentanza dei territori, mentre Vincenzo Falgares (Regione Siciliana), in collegamento, sottolinea il ruolo delle Regioni e dei territori per individuare i bisogni reali di cittadini e imprese a cui rispondere con le politiche pubbliche, nonché la tradizionale maggiore trasparenza della politica di coesione rispetto alle politiche ordinarie.

Conclusioni: coesione, competitività e trasparenza
Nelle sue conclusioni, Francesco Crespi (Università Roma Tre, Centro Economia Digitale) ha richiamato le riflessioni del Rapporto Draghi: nessuno Stato può affrontare da solo le grandi transizioni tecnologiche e industriali.
Tuttavia, la tendenza alla centralizzazione rischia di erodere la dimensione territoriale e partecipativa che ha reso la politica di coesione una delle politiche più qualificanti dell’UE.
Il dibattito ha mostrato che il futuro della coesione si giocherà su un equilibrio difficile tra flessibilità e rigore, tra competitività e solidarietà e tra centralizzazione e ownership locale. Un equilibrio che, come ha ricordato Filippetti, è la vera essenza del progetto europeo: una costruzione politica che si tiene solo se nessuno resta indietro.
Per noi di Monithon, sarà importante verificare che, anche nel prossimo periodo di programmazione, la politica di coesione si confermi tra le più trasparenti, continuando a rendere accessibili i dati amministrativi sui progetti finanziati tramite strumenti come Kohesio o OpenCoesione. Sebbene ancora migliorabili, gli obblighi del regolamento europeo sui fondi della coesione stanno garantendo una solida base di dati di partenza per consentire ai cittadini di monitorare dal basso le effettive realizzazioni e gli effetti di questa politica sui territori. Questo sforzo di trasparenza e accountability ha però fatto un passo indietro nel caso del PNRR, cioè nel momento in cui la responsabilità di quali informazioni pubblicare è passata dall’Unione Europea agli stati membri, comportando notevoli differenze tra i vari paesi a livello di trasparenza. Per questo è importante che, nell’ideale “fusione” tra il modello tradizionale di politica di coesione e il “modello PNRR / Recovery and Resilience Facility”, sia il primo, cioè il “modello coesione”, a prevalere.





Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Fornisci il tuo contributo!