Perché dovremmo tutti diventare cittadini monitoranti?

Alla Smart City Exhibition 2013 abbiamo presentato un articolo in cui abbiamo iniziato ad appuntarci gli effetti positivi che il monitoraggio civico può avere sul rafforzamento delle comunità civiche e sul capitale sociale dei territori e quindi, più in generale, sull’efficacia delle politiche pubbliche.

L’idea è che gli strumenti quali il web 2.0, gli Open Government Data, i primi esperimenti di hacktivism, l’utilizzo dei media civici abilitino nuove forme di partecipazione dal basso non solo alla programmazione e al disegno degli interventi ma anche all’attuazione e alla valutazione delle politiche di coesione da parte delle comunità locali, coinvolgendo così gli attori rilevanti, i beneficiari e i portatori interesse nell’arco di tutto il ciclo di policy.

Questo vale soprattutto nel Mezzogiorno, “caratterizzato, per ragioni storiche ma anche più recenti, da basso capitale sociale inteso come cultura civica”, così come risulta dall’analisi di pochi giorni fa del Ministro per la Coesione Territoriale Trigilia.
Il cd. “monitoraggio civico” degli interventi finanziati dalle politiche di coesione, che stiamo iniziando a promuovere su questo sito, è una prassi che potrebbe dotare le comunità civiche locali di strumenti per partecipare maggiormente alle decisioni, ma soprattutto incrementare la dotazione di capitale  sociale nei territori, promuovendo il senso di appartenenza al territorio stesso e di conseguenza la coscienza civica.

Vi proponiamo due livelli di approfondimento: per i più coraggiosi c’è l’articolo completo, altrimenti con poco più di 10 minuti potete seguire i tutti i passaggi più rilevanti nel video-prezi che abbiamo preparato per monithon.eu!

Paola Liliana Buttiglione
Luigi Reggi

 

Il monitoraggio civico delle politiche di coesione e lo sviluppo delle comunità civiche by Luigi Reggi

Alle pendici del magico Vesuvio

La giornata è cominciata con un viaggio sulla epica circumvesuviana, la rete ferroviaria che come un tralcio di vite abbraccia il Vesuvio e accarezza il Golfo di Napoli. Noi seguiamo il ramo che “abbraccia”, direzione Sarno, fermata: Ottaviano. Ci aspettano lì gli amici di Libera Campania per il secondo degli appuntamenti alla Summer School GIA (Giovani imprendotirialità Innovazione), dove si parlerà di politiche di coesione e monitoraggio civico, Monithon all’ordine del giorno.

Ad accoglierci Antonio D’amore (responsabile di Libera Campania), un caffè già zuccherato (in tazzina calda) e lo splendido Castello Mediceo. Il palazzo è un bene confiscato alla famiglia Cutolo: oltre 160 stanze, al margine di un bosco, una vista incredibile e accoglienti scuderie dove si è svolto l’incontro della Summer School. Sapevamo che il palazzo è oggetto di un progetto finanziato con fondi strutturali, per la creazione di un laboratorio teatrale per i giovani del luogo. Antonio su questo non sa dirci molto di più (la gestione è del Comune di Ottaviano) e comunque il progetto è avviato da poco. Tuttavia ci accompagna, stanza per stanza, e ci racconta quante altre cose si potrebbero fare lì dentro: c’è spazio per una foresteria, c’è un bellissimo cortile da dedicare alle serate estive e tante stanze da rimettere a posto e attrezzare, affrescate e davvero sontuose. Si è già provato ad utilizzare gli spazi (come in occasione di “Vesuvinum”, degustando Lacryma Christi e Catalanesca), ma farebbe comodo ottenere un finanziamento che consenta un recupero complessivo e l’utilizzo di tutte le aree. Ha sede qui l’Ente Parco Nazionale del Vesuvio che utilizza un’ala del palazzo e garantisce un presidio.

Antonio ci parla anche di altre potenzialità del luogo: le coltivazioni, dove si possono coinvolgere ragazzi disabili (- che bisogna far lavorare, per renderli indipendenti -), l’uso come base per i percorsi tra i sentieri boschivi e, come già oggi, tappa dei viaggi della legalità. Poi ci parla del “magico naturale”, retaggio di tradizioni antiche, le cui tracce si possono qui cercare, scoprire, immaginare (e in effetti.. resta insoluto il mistero di alcune finestre del palazzo che appaiono – fuori – e scompaiono – dentro – ..).

Poi fa cenno ad un secondo sito, sempre ad Ottaviano, molto vicino a questo. Confiscato a famiglie rivali. Qui a gestire l’intervento di recupero con fondi europei è l’Ente Parco in collaborazione con il circolo Legambiente intitolato a Mimmo Beneventano, nell’ambito del PON FESR Sicurezza. I lavori in questo caso sono già avanzati. Chiediamo di visitarlo.

Ecco quindi il nostro primo monithon su un bene confiscato. Parliamo a lungo con i responsabili di progetto, ne conosciamo l’orgoglio e la passione. Qui ci saranno soprattutto aree verdi, adibite a percorso della memoria, ma anche orti. C’è anche una piccola e antica cappella che potrebbe essere riconsacrata. Il fabbricato che si sta riqualificando avrà diversi usi, per attività con famiglie e minori, con disabili e un piccolo cortile attrezzato. Sarà uno spazio a disposizione della cittadinanza e dei turisti, pienamente accessibile. L’idea è fare della cultura della legalità e della cultura ambientale il cuore delle azioni che saranno realizzate. Torneremo a trovare il “Museo all’aperto”, con gli alberi della legalità già cresciuti, non appena il disegno sarà pienamente realizzato.

Verso a casa, ragioniamo su un suggestivo nesso tra pensiero magico napoletano e il nostro ruolo di “monitori”. Il mago è colui che sa cogliere i segreti della natura per piegarli a vantaggio dei propri obiettivi, lo fa concentrando su un oggetto tutta la sua forza di volontà e la passione, costringendo a volte le cose a piegarsi rispetto al loro andamento originario o atteso. Pensiamo ovviamente alla “magia bianca”, buona, e ad un beneficio che il mago vuole restituire alla comunità. Beh a noi interessano quegli obiettivi (la ‘direzione’ della magia) e ci interessa la formula (il ‘modello’ adottato). Ci fa piacere constatarne il successo (altrimenti va cambiata strategia-magia). Ci interesserebbe anche cogliere quei segreti che hanno permesso al mago di focalizzare un obiettivo e arrivare al risultato. Ci piace sapere come si fanno a vedere finestre da fuori che dentro non ci sono. Anche a questo si può arrivare, ma non è da tutti.

Il monitoraggio civico nella Smart City

Durante  la  giornata di apertura di Smart City Exhibition del 16 ottobre, nel corso del focus dedicato al tema “Open Data and Accountability” (Labs, 14.00-15.45, Padiglione 31, Bolognafiere) interverrò presentando l’articolo “Citizen monitoring of cohesion policies in southern Italy and the development of civic communities”, selezionato dalla call for papers, in cui mi soffermo sul ruolo del cd. “monitoraggio civico” delle politiche pubbliche, e in particolare sul caso di questa piattaforma, monithon.eu.

La prassi del monitoraggio civico risulta promettente non solo per dotare le comunità civiche locali (cittadini, associazioni e altre iniziative dal basso) di strumenti per essere più partecipi delle politiche pubbliche, ma soprattutto perché i processi inclusivi possono incrementare nei territori la dotazione di capitale civico e sociale,  che può portare benefici in termini di rafforzamento delle istituzioni e di sviluppo economico e sociale.

Sul tema “Smart City” stanno convergendo le migliori energie di  coloro che si occupano di innovazione delle politiche pubbliche e delle pubbliche amministrazioni, insieme a considerevoli finanziamenti europei: nello scorso anno il MIUR ha attivato un Bando Nazionale (665,5 mln)  e due linee di intervento per le Smart Cities e Communities  ed i progetti di innovazione sociale (200. 696. 821 mln).

Già Alberto Cottica in un post su Che Futuro metteva a confronto le due diverse visioni di smart city che si sono sviluppate nel dibattito (e nella prassi) recente:

  • una di tipo top down, associata al mondo delle imprese e della ricerca universitaria, in cui tutta l’intelligenza è concentrata nei tecnologi e ai cittadini resta il ruolo di consumatori di prodotti di tecnologia avanzata
  • l’altra di tipo bottom up, associata alla cultura hacker ed al mondo dell’innovazione sociale, promuove l’empowerment in quanto è basata sul concetto di intelligenza collettiva della comunità

Da donna ho trovato molto utile questo esempio esplicativo della diversità delle due visioni:

“La smart city del primo tipo usa algoritmi di profilazione e il tuo smartphone per segnalarti che sei vicino a un negozio che vende abiti del tuo stilista preferito. Quella del secondo tipo è piena di gruppi di acquisto solidale, orti urbani, sewing café, hackerspace, fablab”.

In Italia le identità distintive dei territori sono talmente forti che quando si parla delle nostre città spesso si utilizzano termini come campanilismo, provincialismo e particolarismo. Quello che è sempre sembrato come un limite potrebbe trasformarsi in un vantaggio competitivo, dato dalla nostra storia e dalla presenza di territori caratterizzati da forti tradizioni culturali ed imprenditoriali.

Il caso italiano dunque presenta delle peculiarità tali per cui il percorso che porta alla costruzione della vocazione economica e sociale della città intelligente deve avvalersi degli attori locali, delle comunità di interessi, dei beneficiari di quelle politiche, al fine di rispondere efficacemente ai bisogni di uno specifico territorio. Significativa in questo senso l’esperienza avviata proprio dal comune di Bologna, che ha pubblicato l‘elenco degli immobili inutilizzati di proprietà comunale in formato aperto, per permettere ai cittadini di scaricare i dati e visualizzarli. Gli spazi sono distinti in immobili inutilizzati da valorizzare (sui quali il Comune ha già un progetto), immobili commercializzabili, come uffici, locali, magazzini e negozi che si possono affittare o comprare, ed immobili inutilizzabili, cioè quelli che hanno caratteristiche tali per cui il Comune non riesce ad individuare destinazioni possibili. Su questi ultimi chiunque può inviare idee o presentare progetti.

In tema di partecipazione la cassetta degli attrezzi “tecnologici” a disposizione è ormai teoricamente ricchissima: la smart city promette di essere il luogo dove faremo un uso evoluto dei Media Civici e dove saranno ampiamente diffuse le app che ci consentiranno di segnalare carenze nei servizi e di proporre soluzioni.

In questa fase pionieristica degli Open Data, gli Open Government Data devono essere utilizzati non soltanto per favorire l’accesso degli utenti ai diversi servizi e per implementare miglioramenti anche significativi delle policy urbane a basso costo, ma hanno un grande potenziale anche come strumento di supporto ai processi decisionali ed operativi interni.

 Da una parte gli strumenti di programmazione locale non hanno ancora sfruttato appieno questo potenziale. Esperienze come quelle di Reti delle città strategiche non hanno raggiunto ancora l’obbiettivo di una vera cultura della programmazione partecipata tra amministratori e comunità. Dall’altra le comunità sembrano aver colto la grande opportunità offerta ed iniziano a muoversi nel solco di quella che è stata definita da Osimo “innovation without permission”: i collaboratori di Che Futuro hanno realizzato, grazie alle segnalazioni di migliaia di cittadini, il più grande database del wifi italiano (24 mila hotspot).

La questione vera è ora rendere virtuoso il flusso di informazioni tra le amministrazioni, i governi e le comunità civiche. monithon.eu è ancora alle sue prime sperimentazioni, ma è stato concepito sin dall’inizio come strumento utile per  favorire l’ingaggio delle comunità civiche e per orientare le decisioni delle amministrazioni. Ulteriori ricerche saranno necessarie per valutare, nel tempo, il suo reale impatto.