Durante la giornata di apertura di Smart City Exhibition del 16 ottobre, nel corso del focus dedicato al tema “Open Data and Accountability” (Labs, 14.00-15.45, Padiglione 31, Bolognafiere) interverrò presentando l’articolo “Citizen monitoring of cohesion policies in southern Italy and the development of civic communities”, selezionato dalla call for papers, in cui mi soffermo sul ruolo del cd. “monitoraggio civico” delle politiche pubbliche, e in particolare sul caso di questa piattaforma, monithon.eu.
La prassi del monitoraggio civico risulta promettente non solo per dotare le comunità civiche locali (cittadini, associazioni e altre iniziative dal basso) di strumenti per essere più partecipi delle politiche pubbliche, ma soprattutto perché i processi inclusivi possono incrementare nei territori la dotazione di capitale civico e sociale, che può portare benefici in termini di rafforzamento delle istituzioni e di sviluppo economico e sociale.
Sul tema “Smart City” stanno convergendo le migliori energie di coloro che si occupano di innovazione delle politiche pubbliche e delle pubbliche amministrazioni, insieme a considerevoli finanziamenti europei: nello scorso anno il MIUR ha attivato un Bando Nazionale (665,5 mln) e due linee di intervento per le Smart Cities e Communities ed i progetti di innovazione sociale (200. 696. 821 mln).
Già Alberto Cottica in un post su Che Futuro metteva a confronto le due diverse visioni di smart city che si sono sviluppate nel dibattito (e nella prassi) recente:
- una di tipo top down, associata al mondo delle imprese e della ricerca universitaria, in cui tutta l’intelligenza è concentrata nei tecnologi e ai cittadini resta il ruolo di consumatori di prodotti di tecnologia avanzata
- l’altra di tipo bottom up, associata alla cultura hacker ed al mondo dell’innovazione sociale, promuove l’empowerment in quanto è basata sul concetto di intelligenza collettiva della comunità
Da donna ho trovato molto utile questo esempio esplicativo della diversità delle due visioni:
“La smart city del primo tipo usa algoritmi di profilazione e il tuo smartphone per segnalarti che sei vicino a un negozio che vende abiti del tuo stilista preferito. Quella del secondo tipo è piena di gruppi di acquisto solidale, orti urbani, sewing café, hackerspace, fablab”.
In Italia le identità distintive dei territori sono talmente forti che quando si parla delle nostre città spesso si utilizzano termini come campanilismo, provincialismo e particolarismo. Quello che è sempre sembrato come un limite potrebbe trasformarsi in un vantaggio competitivo, dato dalla nostra storia e dalla presenza di territori caratterizzati da forti tradizioni culturali ed imprenditoriali.
Il caso italiano dunque presenta delle peculiarità tali per cui il percorso che porta alla costruzione della vocazione economica e sociale della città intelligente deve avvalersi degli attori locali, delle comunità di interessi, dei beneficiari di quelle politiche, al fine di rispondere efficacemente ai bisogni di uno specifico territorio. Significativa in questo senso l’esperienza avviata proprio dal comune di Bologna, che ha pubblicato l‘elenco degli immobili inutilizzati di proprietà comunale in formato aperto, per permettere ai cittadini di scaricare i dati e visualizzarli. Gli spazi sono distinti in immobili inutilizzati da valorizzare (sui quali il Comune ha già un progetto), immobili commercializzabili, come uffici, locali, magazzini e negozi che si possono affittare o comprare, ed immobili inutilizzabili, cioè quelli che hanno caratteristiche tali per cui il Comune non riesce ad individuare destinazioni possibili. Su questi ultimi chiunque può inviare idee o presentare progetti.
In tema di partecipazione la cassetta degli attrezzi “tecnologici” a disposizione è ormai teoricamente ricchissima: la smart city promette di essere il luogo dove faremo un uso evoluto dei Media Civici e dove saranno ampiamente diffuse le app che ci consentiranno di segnalare carenze nei servizi e di proporre soluzioni.
In questa fase pionieristica degli Open Data, gli Open Government Data devono essere utilizzati non soltanto per favorire l’accesso degli utenti ai diversi servizi e per implementare miglioramenti anche significativi delle policy urbane a basso costo, ma hanno un grande potenziale anche come strumento di supporto ai processi decisionali ed operativi interni.
Da una parte gli strumenti di programmazione locale non hanno ancora sfruttato appieno questo potenziale. Esperienze come quelle di Reti delle città strategiche non hanno raggiunto ancora l’obbiettivo di una vera cultura della programmazione partecipata tra amministratori e comunità. Dall’altra le comunità sembrano aver colto la grande opportunità offerta ed iniziano a muoversi nel solco di quella che è stata definita da Osimo “innovation without permission”: i collaboratori di Che Futuro hanno realizzato, grazie alle segnalazioni di migliaia di cittadini, il più grande database del wifi italiano (24 mila hotspot).
La questione vera è ora rendere virtuoso il flusso di informazioni tra le amministrazioni, i governi e le comunità civiche. monithon.eu è ancora alle sue prime sperimentazioni, ma è stato concepito sin dall’inizio come strumento utile per favorire l’ingaggio delle comunità civiche e per orientare le decisioni delle amministrazioni. Ulteriori ricerche saranno necessarie per valutare, nel tempo, il suo reale impatto.